di Claudio Fava
Qui e ora sono parole impegnative ma necessarie. Dentro queste parole c'è un'urgenza che il paese ci presenta come un debito scaduto. L'urgenza di tornare a fare sinistra, a ricostruirne i segni e i luoghi, a ritrovarne la lingua perduta. A patto che la lingua della sinistra non sia più liturgia, esercizio di accademia, celebrazione dei santi e dei profeti. Dev'essere un alfabeto che sappia parlare al paese, che riesca a farsi capire e a farsi ascoltare. Servono parole nuove. E un nuovo sguardo sulle cose che scuotono l'Italia, che ne corrodono le radici di civiltà, che umiliano i diritti e i doveri, che scatenano le guerre dei penultimi contro gli ultimi. Serve una nuova sinistra che non sia solo un'idea nobile e astratta ma uno strumento concreto della politica, una Sinistra Italiana che raccolga storie collettive e passioni civili, che si ponga il problema di riscrivere il racconto di questo tempo senza accomodamenti. Serve, se ci è permesso dirlo fuori da ogni diplomazia, un partito della Sinistra che ci restituisca un'idea e un senso della società, che non si accontenti di mediare ma che scelga di trasformare. Serve anzitutto il coraggio dei nostri pensieri, quelli che ci siamo scambiati a bassa voce in questi mesi, dopo aver capito che nel voto di aprile non c'era un epilogo ma il principio di qualcosa. I pensieri di chi non crede in una sinistra ridotta a un museo, che non si rassegna al corso dei tempi e al suo senso comune. Serve il coraggio di tutti per non fabbricare una sinistra di pochi. Serve adesso, compagni: a partire da oggi, a partire da qui.
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