di DINO PATERNOSTRO
Era l’inverno del 1978, quando a Corleone arrivò un giornalista. Nessuna novità. Anche trent’anni fa ne arrivavano tanti. Tutti curiosi, tutti a fare domande, tutti a chiedere di Liggio, della mafia e dei morti ammazzati. E i corleonesi zitti - impauriti o complici - a negare tutto, persino l’evidenza. Quel giornalista, però, era un tipo particolare, uno che non si arrendeva mai, uno con la battuta pronta, Pippo Fava. «La penultima volta ch’eravamo passati da Corleone, lungo la nazionale, a duecento metri dalla periferia del paese, c’era il cadavere di un giovane col petto sfondato dalla lupara», avrebbe scritto nel reportage pubblicato su “La Sicilia” e ripubblicato nel 1980, insieme ad altri “pezzi”, nel volume “I Siciliani” (Cappelli, Bologna).
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