Fra' Paolo nei locali della Camera del lavoro di Corleone durante l'intervista... |
DINO PATERNOSTRO
INTERVISTA ESCLUSIVA DI FRA' PAOLO, DEI FRATI MINORI RINNOVATI, A CITTA' NUOVE (GUARDA L'ALBUM FOTOGRAFICO)
Non vedevo fra’ Paolo da quattro anni. L’ho incontrato in
questi giorni che lui è ritornato a Corleone per il capitolo dei Frati Minori
Rinnovati, il sottordine dei francescani a cui appartiene. Quattro anni sono (o
possono sembrare) tanti, ma il rapporto che c’è tra noi ci permette di tornare
a parlare come se ci fossimo lasciati il giorno avanti. Questo frate, che
adesso ha 61 anni, l’ho conosciuto a Corleone il 4 ottobre 1993, festa di San
Francesco, quando ha presentato in villa comunale il gruppo “Corleone, un passo
avanti”, costituito da giovani cattolici e laici, convinti che i cittadini sono
titolari di diritti e di doveri e non “sudditi” del boss di turno. Fu una
rivoluzione culturale, che spezzò vecchie appartenenze in nome della
collaborazione tra le persone di buona volontà, secondo il dettato del Concilio
Vaticano II. Furono fra’ Paolo e questo gruppo ad inventare le schede
elettorali “parlanti”, recapitate a tutti gli abitanti di Corleone, alla
vigilia delle elezioni comunali del novembre ’93 (anche allora il comune veniva
da un periodo di commissariamento), per raccomandare loro di votare candidati oneste
che nulla avessero a che fare con la mafia e i mafiosi.
Non era mai accaduto
nulla del genere a Corleone, dove tra chiesa e mafia – in forma più o meno
intensa - certe “relazioni pericolose” c’erano sempre state. Fu sempre fra’
Paolo a musicare e cantare i dieci consigli scomodi ai cittadini che vogliono
combattere la mafia, durante le varie tappe del presepe antimafia del Natale
1994. E fu ancora lui, insieme a tanti giovani, a promuovere una manifestazione
non violenta come forma di reazione alla bestiale violenza mafiosa del
gennaio-febbraio 1995, quando in rapida successione il boss Leoluca Bagarella e
il suo gruppo di fuoco assassinarono prima Giuseppe Giammona e un mese dopo
Giovanna e Francesco Saporito. Erano gli anni in cui, nonostante la mafia,
Corleone davvero stava diventando “capitale” di una nuova speranza.
Poi fra’ Paolo tornò in Africa, in Tanzania, la sua seconda
patria. E d’allora (era il 1997) a Corleone torna soltanto per i giorni del
capitolo francescano ma ogni volta che torna è una festa, una gara ad invitarlo
a cena, a proporgli di partecipare a riunioni ed incontri. Anche stavolta è
stato così. Una sera ho avuto il piacere di averlo a cena a casa mia. Un
pomeriggio ha partecipato alla presentazione del libro “Reperti. Parole sotto
la cenere” del carissimo Pino Governali. Un altro pomeriggio ad un incontro per
fare il punto sulle attività sviluppate in Tanzania anche a seguito della
raccolta fondi fatta a Corleone negli scorsi anni. Prima del suo ritorno a
Viadana, in provincia di Mantova, di cui è originario, e poi in Tanzania, l’ho
incontrato un’ultima volta a Palermo lo scorso 23 maggio, nel giorno del
ricordo della strage di Capaci. La domenica precedente, il 21 maggio, ci
eravamo visti alla Camera del lavoro per la “consueta” intervista
tri-quadriennale. Eccone la sintesi.
Com’è
andato il capitolo? Di cosa avete discusso?
“Abbiamo rinnovato gli incarichi interni: fra Pio (francese) è stato scelto come servo generale, fra
Basilio (colombiano) come vicario generale e segretario generale, fra Giuseppe
Maria (italiano, siciliano) consigliere generale.
Nella discussione siamo stati travagliati tra l’essere più
decisamente nelle periferie del mondo, andare più decisamente nelle nuove terre
di missione, e la nostra realtà numerica che non è aumentata in questi anni.
Siamo sempre meno di sessanta. C’è questo desiderio (si sono fatti degli
esperimenti in Ecuador, in Islanda, in Spagna, in Albania), però alla fine,
guardandoci con molto realismo, abbiamo detto di continuare queste esperienze,
di essere più attenti nelle comunità a questo lavoro di periferie esistenziali,
di essere presenti nelle periferie esistenziali, evitando di fare da tappabuchi
conservatori. In realtà, in alcune situazioni, non ultima Corleone, per
esempio, abbiamo visto il rischio di essere troppo disponibili a fare da
tappabuchi ad un apostolato di conservazione, mentre invece dovremmo sostituire
magari la chiesa o essere presenti come chiesa lì dove la chiesa fatica ad
essere presente nelle periferie esistenziali”.
In
quali parti del mondo siete presenti attualmente?
“Attualmente abbiamo tre comunità in Italia: Corleone,
Palermo, Napoli; abbiamo quattro comunità in Colombia ed una a Pomerini in
Tanzania”.
Ultimamente
la chiesa a Corleone è stata al centro di polemiche non proprio progressiste.
Mi riferisco al figlio di Totò Riina, a cui è stato consentito di fare da
padrino di battesimo in Matrice, e alla processione di San Giovanni Evangelista
che si è fermata davanti la casa di Ninetta Bagarella.
“Ho sentito versioni e spiegazioni contrastanti.
Indubbiamente bisogna stare molto attenti a questi segnali. Tra l’altro, quando
è scoppiata la vicenda del battesimo del nipote di Riina eravamo insieme
all’arcivescovo di Monreale lì in Tanzania, a Iringa. E alla fine della
celebrazione si è detto preoccupato e amareggiato di questo gesto.
Probabilmente c’è stata una leggerezza che ha dato un segno di non
consapevolezza di quello che certi gesti possono generare. L’arcivescovo ha
sottolineato la debolezza di scelta cristiana: se essere padrini ha un senso,
avrebbe dovuto farlo un altro”.
Quando
torni la gente ti saluta con calore, ti abbraccia, ti invita a casa…
“Si, è stato molto bello rivedere tanti amici. Tutti hanno
piacere di ricordare gli anni passati insieme. Tutti però restano aggrappati ai
ricordi. La diagnosi è stata unanime: Corleone è tornata indietro e non poco.
Purtroppo nessuno ha dato terapie. Speriamo che il ricordo di quello che si è
fatto e di come quell’impegno abbia dato i suoi frutti sia uno stimolo a
trovare terapie necessarie perché a Corleone possa tornare quella primavera che
manca da troppo tempo e che allora ha portato beneficio a tutti”.
Si
dovrebbe ripartire dal mettere insieme tutte le persone di buona volontà…
Indubbiamente penso che questa sia la strada per la riuscita
del cambiamento: valorizzare tutto quello che di buono ogni persona porta in se
e dirigerlo verso il bene comune. Ci sono delle denuncie che bisogna fare,
delle strade che bisogna chiudere, però l’accento va posto su quello che si può
costruire assieme, partendo dalle persone che ci sono. Penso che valga ancora
il discorso del “passo avanti”.
L’Africa
invece come sta? La tua Africa, in particolare, quella parte dove tu operi, sta
cambiando?
“Le statistiche sono tutte ottimistiche: la Tanzania ha una
crescita del PIL che viaggia intorno al 7% annuo. Indubbiamente è un Paese in
sviluppo. È un Paese che cambia. Se tutti i cambiamenti siano positivi questo è
un grosso punto interrogativo. Indubbiamente, attraverso le nuove tecnologie,
la Tanzania diventa sempre più parte del villaggio globale. Solo che mi pare
che, da una realtà rurale, a volte questo cambiamento prenda la forma dello
shunami e tutto quello che era la cultura locale rischia di essere spazzata.
Sono ottimista perché gli africani, la gente che io conosco non si lascia
intimorire, è molto impegnata e sono sicuro che saprà ricostruire. Però certo
siamo in un momento molto delicato, dove si vede che la cultura locale viene
scossa, sommersa, dai messaggi che vengono dalla cultura occidentale, europea,
americana, con quello che di buono (come i diritti e la tecnologia) e di meno
buono (come l’eccesso di individualismo), che rischia di fare affogare la
cultura più solidaristica, che però ancora tiene nei villaggi”.
Ma il governo della Tanzania che rapporto ha
con questi cambiamenti? Difende il popolo o è troppo disponibile nei confronti
delle multinazionali?
“Il governo si trova un po’ tra l’incudine e il martello.
Dal punto di vista economico questo sviluppo così rapido è stato frutto di
un’apertura a questi investitori (una volta si chiamavano colonizzatori, adesso
si chiamano investitori), che a volte si fanno la fama di benefattori. Però
siccome nel governo c’è una forte presenza musulmana, paradossalmente è questa
presenza che riesce ad arginare un po’ questa cultura invadente che viene
dall’occidente…”.
Quindi,
possiamo dire che i musulmani rappresentano uno strumento della provvidenza
divina…
“Si, potremmo dire così, per certi versi…”.
Com’è
la vita nei villaggi che conosci, dove vivi tu? Quattro anni fa mi parlava
dell’Aids dilagante, della sanità che arrancava, dei servizi sociali molto
carenti…
“Sono stati fatti progressi nell’istruzione. Vent’anni fa,
quando siamo arrivati noi, nella provincia c’erano tre scuole secondarie,
adesso ce ne sono trenta. La qualità non è delle migliori, però chi finisce la
scuola di base può accedervi. E questo indubbiamente ha ridotto l’esodo delle
giovanissime che andavano a fare le donne di casa nelle grandi città.
Purtroppo, constatiamo che la forbice tra il gruppo dei manager e la
popolazione aumenta sempre più. Adesso c’è qualche scuola in più, c’è qualche
strada in più, dall’ottobre scorso c’è la luce elettrica nel paese, ma la
forbice si allarga. Le strutture sanitarie sono migliorate, sono più
accessibili, però non a chi non ha soldi. Internet attivata dai privati ormai è
quasi dappertutto, anche se con connessioni lente, se non lentissime. Anche la
telefonia mobile copre ormai quasi tutto il Paese”.
Questo
significa che puoi connetterti più facilmente e collaborare a distanza con
Città Nuove. Potremmo aprire una finestra…
“Non voglio fare promesse da politico… Fra poco però vi
offrirò una “porta” dove si parla anche degli anni di Corleone…”.
Una
pubblicazione, un libro?
“Si, un libro, 100 pagine dove si parla di mafia, Africa e
preghiere…”.
Complimenti,
lo leggeremo con grande attenzione. Arrivederci a… fra quattro anni? O per la
presentazione del libro?...
Dino Paternostro
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