La Chiesa di San Marco |
Caro direttore,
scrivo questa lettera anche sulla spinta di alcuni amici. E
vorrei subito cominciare con due "messe a punto" generali. La prima:
questa lettera non nasce contro qualcuno, ma a favore di questo paese e dunque,
se nel tempo non avrà risposta, diventerà inevitabilmente "contro"
qualcuno. Non per mancanza di attenzione all'autore, ma perché i nostri figli,
nipoti, pronipoti eccetera - i cosiddetti posteri - scopriranno che se sono diventati più poveri sarà pure
colpa di qualcuno di cui la storia tramanderà nomi e cognomi. La seconda:
per fare un discorso completo sull'argomento che vado ad affrontare,
occorrerebbero almeno una decina di queste lettere, ma non posso e non voglio
abusare. D'altra parte, a mettere troppa carne su una sola graticola, si corre
il rischio di lasciarla cruda e quindi di gettarla via tutta. Dunque, mi debbo
contenere.
Scrivo per
parlare della chiesa di San Marco, anzi del rudere della chiesa, di cui una mia
amica è innamorata. E' lei che mi ha spinto a questa lettera.
Lo so, sto
perdendo del tempo per parlare di un rudere di cui cade una pietra al giorno al
primo soffio di vento e che ormai non è più buono, come in passato, neanche per
fare da casa alle capre. Spero sarò perdonato se sono un perditempo che ruba
spazio per queste storielle in un momento in cui le priorità sono ben altre,
come per esempio fare arrivare a fine mese le famiglie con un minimo di tavola
imbandita e il comune col necessario per non dichiarare bancarotta.
Potrei fare
l'avvocato difensore di questo rudere per chiedere agli onorevoli giudici se
non sia il caso di metterlo in sicurezza, di procedere ad un minimo di restauro
e di renderlo fruibile. Ma è un rudere senza tetto: ne varrà la pena? Qualcuno,
certamente meno illuminato e molto più spendaccione, è andato niente meno a restaurare
- non mi spingo fino a indicare alcune certose della Toscana - un rudere vicino
a noi: lo Spasimo di Palermo. Figuratevi che qualche turista abbocca e va a
vedere quella cosa affascinante che ha per tetto il cielo, dove si tengono
conferenze e incontri di vario tipo.
Potrei fare
l'avvocato difensore e parlare di questa antichissima chiesa dedicata all'Evangelista
- la cui immagine ormai "riposa" a San Leoluca - arrivata fino a noi,
prima di crollare pezzo dopo pezzo, nella sua versione settecentesca di barocco
dei poveri.
Potrei
anche ricordare che proprio nell'allora incontaminato pianoro attorno alla
chiesa si svolgeva - prima che se ne impossessasse la Compagnia del Santissimo
Sacramento - la grande fiera annuale di primavera, nel giorno dell'Evangelista.
Non era solo un mercato, per quanto importante e vitale, che consentisse di
prepararsi adeguatamente alla nuova stagione, ma era soprattutto - grazie ai
mercanti che arrivavano dai posti più svariati in un'epoca in cui viaggiare
poteva essere un rischio mortale, tanto da indurre a far prima testamento - il
momento in cui un povero paese sperduto tra le colline e le montagne della
Sicilia, veniva a contatto con il mondo e con la storia.
Potrei
anche ricordare che quella fiera si svolgeva lì probabilmente perché non c'era
un vuoto tra il paese e la chiesa, ma c'era in mezzo il quartiere degli ebrei,
tradizionalmente commercianti, poi cacciati via; che l'Evangelista era il
patrono di una grande e potente confraternita bianca, i cui membri, non certo
ricchi, investivano nell'abito di compagnia, che diventava una sorta di dote da
tramandare da padre in figlio.
Potrei
ricordare le mille leggende di magie e truvature
che hanno costruito attorno alla chiesa - continuata con ciò a vivere nel cuore
dei corleonesi anche quando era già rudere - un'aura di mistero e di sogno e
potrei perfino ricordare che queste leggende nascevano forse dal fatto che su
quel pianoro si issavano anche le forche per eseguire le condanne a morte.
Ho scritto in
un mio libro che quel pianoro, cui faceva guardia la chiesa dell'Evangelista,
fu in un particolare momento storico durato un paio di secoli - tra i banchi
dei commercianti e le forche del potere - il palcoscenico della vita e della
morte del paese. Insomma, potrei ricordare la lunga storia che giustificherebbe
una bonifica della zona, un restauro e un paletto con la scritta "Chiesa
di San Marco Evangelista" in un posto ormai scansato perfino dalle capre,
che prima erano lì di ovile.
E c'era
bisogno di tutto questo ambaradan per
un rudere cadente? Forse sì, forse no, dipende dai gusti. Questo però e il
motivo per cui ho detto che di lettere così me ne servirebbero una decina.
Perché per esempio si potrebbe parlare del tetto crollato a Sant'Andrea;
dell'area delle Due rocche bonificata, chiusa, abbandonata e rimandata alle
ortiche dalla stessa amministrazione che l'aveva recuperata; della Colonia
Firmaturi che sta crollando nel silenzio generale più assurdo - vedere lo
scalone e la cima della torretta - e che forse sarebbe meglio, forse perfino
doveroso, restituire ai privati.
Ma anche
tutte queste immagini dello scempio, potrebbero non servire a nulla prese così,
isolatamente. Il discorso è ben più complesso e contemporaneamente semplice: chi
siamo, cosa vogliamo, dove andiamo, che futuro vogliamo dare al paese. Per
favore, scordiamoci l'industria; vediamo di rimettere in carreggiata
l'agricoltura, le imprese della trasformazione e l'artigianato con criteri e
voglia moderni. Ma la ricchezza potrebbe venire anche da un'altra fonte.
Corleone,
nel bene e nel male, ha un nome nel mondo. I danni fatti sono fatti, il lavoro
per la trasformazione dell'immagine è stato encomiabile e deve continuare. Ma
queste sono considerazioni più "politiche". Tornando alla ricchezza,
dollari ed euro sfilano ogni giorno per via Bentivegna, lasciati alla ventura
come pecore, senza guida e senza pastore. Che è già una mancanza di rispetto
per i visitatori che arrivano a casa nostra. Da dove vengono, dove vanno? E soprattutto
quanto spendono in rapporto a ciò che vedono?
A parte il
poster del "Padrino" sul muro del bar Ruggirello, davanti a cui fare
una foto, le nostre ricchezze, le nostre cose da vedere, quelle vere, sono
sepolte. Chiuse le chiese; disperso quel grande patrimonio di statue, di
quadri, di oreficerie; scollegati i centri museali, lontani i "punti panoramici", senza
accesso sicuro il castello soprano, bloccato dalla clausura il castello
sottano, senza finanziamenti e campagne certe gli scavi sulla Vecchia dove
potrebbero venir fuori nuovi, importanti reperti (ma se anche venissero, come
un visitatore potrebbe arrivarci?)
Allora il
discorso principale è appunto di futuro. Si torna a quel minimo di tavola
imbandita alla fine del mese. Corleone è stata paese del feudo, grande centro
granario, capitale contadina, perfino capitale della mafia (e spero non ci sia il
solito pierino che mi indicherà come nostalgico). Oggi è orgogliosamente città.
Ma che città è? Che città sarà? Qual è il progetto?
Nonuccio Anselmo
2 commenti:
Grazie
niente storia se non si ha memoria
pino badalamenti corleonese del 1938
Posta un commento