di Pippo La Barba
Di Giuseppe Letizia,
ucciso dalla mafia nel 1948 all’età di 13 anni per essere stato testimone
dell’assassinio del sindacalista Placido Rizzotto, di cui recentemente
sono stati rinvenuti i resti, non si possono più neanche identificare le
ossa, poichè una parte del cimitero di Corleone, quella dei poveri,
è stata smantellata e, quel che rimaneva delle persone sepolte da un certo
numero di anni, è stato traslato in un ossario comune.
Giuseppe Letizia, vittima di un destino
atroce che per una fortuita circostanza spezzò la sua vita di
adolescente, è stato per tanti lunghi anni dimenticato. Recentemente, sull’onda
dell’emozione suscitata dal ritrovamento dei resti mortali di Placido Rizzotto,
ci si è finalmente ricordati di questa ennesima vittima della mafia. Il 12
giugno scorso la Scuola Media Statale di Corleone, con un atto fortemente
simbolico, gli ha assegnato il diploma di licenza media ad
honorem,per risarcirlo in qualche modo della mancata opportunità non
concessagli a tempo debito.
Il diploma è stato consegnato a Giuseppe
Letizia, nipote omonimo, dal Preside della scuola Leoluca Sciortino. Sono
intervenuti, oltre all’attuale sindaco di Corleone Lea Savona, gli ex
sindaci Pippo Cipriani e Nino Iannazzo, il componente della Commissione
Nazionale Antimafia senatore Beppe Lumia e, in rappresentanza del Governo
regionale, l’assessore Mario Centorrino.
La cerimonia si è svolta in un religioso
silenzio, alla presenza delle scolaresche di vari istituti e con la
commossa partecipazione di molta gente comune.
Un toccante messaggio è stato inviato da
don Luigi Ciotti, assentatosi all’ultimo momento perché colpito da un lutto.
Chiedo a Giuseppe
Letizia di parlarmi dello zio e di quello che rappresenta per la sua
famiglia questo riconoscimento.
E’ il ricomporsi
di una memoria spezzata, il realizzarsi di un atto di giustizia
lungamente atteso che, per omertà o per indifferenza, ci era stato
negato. Io ricordo che da piccolo, quando i miei nonni erano vivi, mi portavano
per la festa dei Morti ad accendere un lumino per lo zio Giuseppe. Allora nel
cimitero di Corleone, nella sezione cosiddetta dei poveri, c’era una croce con
una targhetta, su cui era inciso il nome di Giuseppe Letizia. Una volta, e già
i miei nonni erano morti, mi recai da solo al cimitero, ma quella croce con il
nome non c’era più. Il custode mi spiegò che i poveri resti erano andati a
finire nell’ossario comune.
Cosa sai delle
circostanze che portarono all’eliminazione di tuo zio?
Direttamente, per ovvi
motivi anagrafici, non so nulla. Sia i miei nonni che mio padre, o gli
zii, avevano una sorta di pudore a parlare di questo fatto con noi
ragazzi. So di certo, comunque, che mio zio Giuseppe non era un pastorello,
come è stato definito, per il semplice motivo che la nostra famiglia ha sempre
lavorato la terra, ma non ha mai tenuto animali da allevamento. Quando Giuseppe
Letizia fu trovato in delirio dal padre, la mattina dentro la mangiatoia dove
aveva dormito, in un casolare che mio nonno aveva in uso in contrada Malvello,
vi era rimasto non per accudire le pecore, ma per custodire due muli (evitando
di riportarli in paese, distante parecchi chilometri) che l’indomani
avrebbero dovuto trainare l’aratro per la coltivazione.
Ma ad un un
adolescente possono essere affidate delle incombenze da adulto?
Oggi è facile fare
questo tipo di considerazioni. Ma negli anni del dopoguerra c’era una società
rurale e ogni membro della famiglia, a prescindere dall’età, doveva dare il suo
contributo. Il capo famiglia che riusciva ad ottenere un terreno a mezzadria doveva
necessariamente far leva su tutte le risorse di cui disponeva per sopravvivere.
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